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ADHD e psichiatria: comportamenti devianti e conseguenze giuridiche

2023-04-12 20:34

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ADHD e psichiatria: comportamenti devianti e conseguenze giuridiche

Comportamenti devianti e conseguenze giuridiche legati ai disturbi psichiatrici associati al disturbo da deficit di attenzione e iperattività

Psichiatria e disturbo da deficit di attenzione e iperattività: se ne è parlato il 25 marzo in un convegno a Milano, organizzato da una delle associazioni di Famiglie in Rete, AIFA Lombardia, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il convegno ha inteso aprire una riflessione su quei disturbi psichiatrici associati all’Adhd che possono determinare, se non adeguatamente trattati, comportamenti devianti e potenzialmente pericolosi come atti di autolesionismo, dipendenze, rischio di suicidio e, in alcuni casi, portare a commettere reati.

Riportiamo qui, con il permesso dell'autrice, un articolo di Antonella Patete su Redattore Sociale.

La registrazione dell'evento è disponibile qui.

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Gollner - Presidente AIFA Lombardia: "Manca il dialogo tra l’ambito della giustizia e quello della salute mentale"

“Da un po’ di tempo aumentano le richieste di aiuto da parte di genitori con figli maggiorenni, giovani adulti, con Adhd in quadri clinici complessi aggravati da diverse comorbilità, che sono entrati in conflitto con la giustizia a causa delle conseguenze dei loro problemi comportamentali. 

Si tratta di problemi che sono a volte causati dall’abbandono delle terapie oppure da una diagnosi molto tardiva, da terapie mai messe in atto per le lunghe liste d’attesa, per mancanza di un accompagnamento nel passaggio dai servizi di Neuropsichiatra infantile ai servizi per gli adulti. Sappiamo bene che l’Adhd, se non trattato adeguatamente, soprattutto in casi più gravi può causare un peggioramento dei sintomi e accompagnarsi ad altre patologie psichiatriche più gravi, come i disturbi di personalità, l’abuso di sostanze, i disturbi antisociali e borderline”. Talvolta il peggioramento dei sintomi può sfociare anche in episodi di violenza nei confronti dei genitori. “Nel corso degli anni è generalmente mancato un adeguato supporto sia per la famiglia per il soggetto stesso: la tutela è difficile e le famiglie si sentono abbandonate, lasciata a sé stesse, nell’impossibilità di aiutare i propri figli”, prosegue la presidente di Aifa Lombardia, rimarcando le carenze del sistema socio-sanitario nel trattamento del disturbo: “Mancano adeguate strutture di accoglienza con progetti riabilitativi o rieducativi ed è molto difficile trovare un equilibrio tra cura e tutela, dove il diritto alla cura andrebbe a beneficio di tutti, anche della società. Inoltre, manca spesso un fattivo dialogo tra l’ambito della giustizia e quello della salute mentale”.

Sgroi: “La diagnosi indispensabile per affrontare i comportamenti disfunzionali”

“L’Adhd è un disturbo che si presenta spesso associato ad altre condizioni patologiche come il disturbo oppositivo provocatorio nell’infanzia e il disturbo antisociale nell’adolescenza fino a disturbi più francamente psichiatrici, come il disturbo borderline di personalità, il bipolarismo, le dipendenze nell’età adulta – spiega Francesca Sgroi, psicologa esperta di Adhd nell’arco della vita e  collaboratrice di Aifa –. Si parla, in questo caso, di comorbilità e la diagnosi di Adhd, benché resa più ardua dall’età e dalla presenza di disturbi associati, diventa indispensabile per affrontare i comportamenti disfunzionali con i corretti interventi terapeutici (farmacologici e non). Quando questo non avviene la persona può andare incontro a una deriva della sua esistenza che può portarla, a volte, verso conseguenze estreme come suicidi o forme di delinquenza

 

Gori: “Aderenza terapeutica più difficile in presenza di disturbi associati”

“La traiettoria evolutiva dell’Adhd per sé non sempre espone a difficoltà sul piano giuridico, circostanza ben più frequente in caso di associazione con gravi comorbilità come disturbi di personalità, disturbi bipolari e disturbi da abuso di sostanza ­– rimarca Chiara Gori, specialista in Neurologia e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale in formazione –. In tali situazioni vi è maggiore probabilità di mancanza di aderenza terapeutica da parte dei pazienti, essa stessa parte di una percezione alterata della propria situazione clinica e di una difficoltà di lettura da parte del paziente della propria compromissione patologica. In parallelo vi è il problema della transizione cioè il passaggio dai servizi di Neuropsichiatria infantile ai servizi psichiatrici per adulti – conclude –. È importante lavorare con i pazienti quindi nella comprensione delle loro scelte, del loro stato emotivo e del significato associato alle loro azioni”.           

                                                              

Strada: “La diagnosi importante anche tra la popolazione detenuta”

“L’Adhd è un quadro clinico altamente rappresentato nella popolazione detenuta, infatti la letteratura internazionale individua una prevalenza dell’Adhd in carcere tra il 25 e il 45% – rende noto Irene Strada psicoterapeuta presso Asst Santi Paolo e Carlo e autrice di uno studio preliminare su Adhd e carcere realizzato presso la casa di reclusione di Milano-Bollate   –. A oggi, sono limitati gli studi che indagano la presenza del disturbo nel campione ristretto italiano: la nostra ricerca si pone l’obiettivo di valutare la prevalenza dell’Adhd e l’associazione tra il disturbo e l’abuso di sostanze e la lunghezza della condanna. Seppur preliminare, lo studio sottolinea l’importanza della diagnosi di Adhd anche nella popolazione detenuta – prosegue la psicoterapeuta – al fine di evitare un effetto negativo cumulativo sul funzionamento del soggetto ristretto. Si evidenzia inoltre la necessità di individuare programmi terapeutici specifici, che possano implementare le capacità interpersonali e intervenire sul rischio di recidiva e, non da ultimo, sull’abuso di sostanze".

 

Di Nicola: “Esiste correlazione tra Adhd in età infantile e dipendenze in età adulta”

“È stata riportata una correlazione tra l’Adhd in età infantile e lo sviluppo in età adolescenziale di problematiche correlate all’uso di nicotina, alcol e stupefacenti, in primis cannabinoidi, con la definizione di un vero e proprio disturbo da uso di sostanze entro l’età adulta – afferma Marco Di Nicola, psichiatra presso il Policlinico Gemelli di Roma –. Altrettanto rilevante appare la co-occorrenza con un utilizzo problematico di Internet e il gioco d’azzardo patologico, in particolare tra gli studenti universitari. I casi di comorbilità con dipendenze da sostanze o comportamentali tendono a una maggiore complessità clinica, generalmente con un impatto negativo in termini di funzionamento e outcome a lungo termine. Pertanto, risultano necessarie una valutazione approfondita dei fattori di rischio multipli sottostanti la vulnerabilità a sviluppare addiction e la definizione di approcci diagnostico-terapeutici maggiormente specifici e personalizzat,i che possano migliorare i livelli di funzionamento e la qualità di vita nei soggetti con Adhd”.

 

Varraso: “Occorrono specifici protocolli difensivi per la tutela nel processo penale”

“L’esigenza di assicurare, nel procedimento penale, le fondamentali garanzie di difesa personale e tecnica non può ignorare le condizioni soggettive dell’accusato e della persona offesa, soprattutto in presenza di patologie definibili come psichiche – sottolinea Gianluca Varraso, avvocato e professore di Diritto processuale penale e di Diritto penitenziario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano –. Da qui, l’opportunità di specifici protocolli difensivi per la tutela nel procedimento penale dei soggetti psichiatrici. L’imputato affetto da patologie psichiatriche potrebbe addirittura non essere in grado di partecipare con piena consapevolezza al processo, ancor prima di poter ottenere il riconoscimento in sentenza della propria malattia, ai fini dell’assoluzione o di una diminuzione di pena. Spetta, anzitutto, al difensore vigilare affinché tale stato patologico venga conosciuto dall’autorità procedente, profilo essenziale anche nell’ottica di garantire che eventuali misure limitative della libertà personale siano conformi alla sua situazione personale”.

 

Sarno: “L’avvocato deve fare il possibile per evitare discriminazioni e pregiudizi”

“Nell’ambito dei casi di imputato psichiatrico, l'avvocato deve essere particolarmente attento alla tutela dei diritti del proprio assistito, considerando le particolari esigenze e difficoltà che possono emergere nel corso del processo – sostiene Ernesto Sarno, avvocato penalista, membro della Commissione Diritto dell'Unione Europea –. Uno dei principali obiettivi dell’avvocato in questi casi è garantire l’accesso del proprio assistito a un trattamento equo e giusto. Ciò significa che l'avvocato deve fare tutto il possibile per evitare discriminazioni e pregiudizi nei confronti dell'imputato a causa del suo stato di salute mentale. Inoltre, l’avvocato deve essere consapevole delle limitazioni cognitive e comunicative del proprio assistito, e fare in modo che il giudice e le altre parti coinvolte nel processo siano informati di queste limitazioni. Un altro aspetto importante della deontologia dell’avvocato in questi casi è la tutela della riservatezza e della privacy del proprio assistito. L’avvocato deve evitare di divulgare informazioni confidenziali riguardanti la salute mentale del proprio assistito, se non strettamente necessario per la difesa”.

 

Boschi: “Esistono malati psichiatrici che non aderiscono alla cura ossia non sono consenzienti.”
"Purtroppo questo aspetto di non aderenza alla cura è frutto sia dello stigma sociale che ancora oggi pervade la malattia psichiatrica ma è anche un aspetto insito della patologia del paziente. Molti sono i casi di malati psichiatrici che non si ritengono malati e quindi bisognosi di cure e l’approccio psicologico attuale è quello di portare la persona al convincimento del proprio stato di malattia. Ciò può avvenire dopo vari anni oppure mai, nel frattempo questi soggetti si aggravano, diventano incontrollabili e commettono reati e finiscono dove non dovrebbero stare per legge: in carcere. Unico luogo che è rimasto contenitivo in Italia dopo la chiusura dei manicomi e OPG, ma che non è attrezzato alla cura del malato.
Voglio ricordare ciò che sostiene il prof. Roberto Catanesi (professore ordinario di psicopatologia forense presso la facoltà di medicina-chirurgia dell’Università di Bari) e cioè che il consenso alla cura, così come stabilito dalla legge Basaglia, debba essere la regola generale, ma occorre trovare l’eccezione alla regola generale per i non consenzienti alla cura. Anche perché il consenso come viene inteso attualmente non è possibile ottenerlo all’inizio della terapia ma alla fine del percorso terapeutico, quando il paziente abbia potuto constatare la beneficità della cura stessa.
Molto spesso i malati non aderenti alle cure navigano a vista nei reparti psichiatrici degli ospedali e nelle comunità di recupero senza alcun programma condiviso e vengono tenuti a bada con la sedazione.
Questi soggetti peraltro sono stati definiti dal CSM (Consiglio superiore della magistratura, nella risoluzione del 17/04/2017) “cripto-imputabili”. Dopo la chiusura degli OPG, sono state istituite le REMS, ma sono solo luoghi di cura ( malgrado siano considerate misure di sicurezza) e non di contenimento per i malati psichiatrici autori di reato.
La dott.ssa Daniela Ronco (ricercatrice in Sociologia del diritto presso l’Università degli studi di Torino) che ha contribuito alla redazione del libro “Dieci anni di REMS, un’analisi interdisciplinare” ed. scientifiche italiane, riporta chiaramente come ormai sia diffusa la convinzione della necessità del contenimento. Quello che sta emergendo è che proprio l’idea del contenimento, se non in termini di contenzione meccanica, certamente in termine fisici, ossia come costrizione dei corpi all’interno di strutture chiuse, sia utile ed auspicabile in quanto protegge da sé stessi e da comportamenti autodistruttivi o eterodistruttivi.
Ciò è in linea con quanto sostenuto dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 22/22, che afferma che bisogna tenere conto per i soggetti con malattia mentale, autori di reato, sia la possibilità della cura sia la possibilità di frenare la loro pericolosità nei confronti di sé stessi e di terzi. Ciò che lascia veramente stupiti però è come il nostro legislatore sia rimasto insensibile al monito della Corte Costituzionale in quanto ci si sarebbe aspettato un intervento legislativo repentino, invece il 30/11/2022 esce dalla Presidenza del Consiglio dei ministri l’ennesimo Accordo Governo – Regione e Provincie autonome che statuisce sui criteri di gestione delle REMS. L’esatto contrario di quello aveva statuito la Corte, la quale aveva espressamente richiesto un riordino legislativo in materia di REMS da effettuarsi dal legislatore, quale fonte primaria del diritto, senza che intervenissero ancora una volta accordi che non hanno valenza di legge."

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