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Conferenza nazionale autogestita per la Salute Mentale - La banalità della contenzione

2024-12-15 23:15

Famiglie in rete

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Conferenza nazionale autogestita per la Salute Mentale - La banalità della contenzione

Famiglie in Rete ha partecipato ai lavori di 4 dei 5 tavoli della Conferenza. Qui relazioniamo del tavolo 3 e della "banalità della contenzione".

Famiglie in Rete ha partecipato ai lavori della seconda conferenza nazionale autogestita per la Salute Mentale.

Sei dei nostri soci hanno preso parte ai lavori di 4 dei 5 tavoli in programma nel pomeriggio di venerdì 6 dicembre.

In particolare, qui ci riferiamo al tavolo 3 Libertà e diritti: contro le pratiche delle istituzioni totali – Istituzionalizzare, legare, obbligare, punire –

Il contributo della nostra socia è avvenuto tramite un RACCONTO ESPERIENZIALE, che nella rappresentazione plastica delle dinamiche, delle emozioni, delle conseguenze esperite e delle riflessioni nate dalla rielaborazione psicoterapeutica dei fatti, aveva lo scopo di suscitare una riflessione collettiva dell’assemblea e stimolare domande.

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Lo riportiamo anche qui, con un breve commento dell’autrice a conclusione.

I fatti sono anonimizzati sui protagonisti, siano essi soggetti fisici o strutture sanitarie, perché la riflessione sia globale ed ogni operatore o familiare possa interrogarsi sul caso specifico ed individuare i SUOI prossimi piccoli passi.

-              Questi fatti potrebbero essere accaduti nel mio reparto/ ad un mio familiare/ al familiare di quel mio amico?

-              Che cosa potrei fare per evitarlo?

-              In cosa posso far tesoro di questa esperienza?

 

 Con buona probabilità, chi passa da qui condivide le dichiarazioni finali della conferenza (nello specifico la 8: abolire qualsiasi trattamento inumano e degradante, a partire dalla contenzione meccanica, in tutti i luoghi della cura oltre che nei servizi psichiatrici). 

E’ un viaggio lungo ed impegnativo, che come tutti i viaggi parte con un primo passo. Quale sará il vostro?

IL RACCONTO: La banalità della contenzione.

 

Luca ha 21 anni, ed è stato legato due volte.

 

La prima volta aveva 17 anni. Avevamo perseguito per un anno intero l’obiettivo di portarlo a farsi curare. Alla fine, avevo cavalcato un delirio che aveva sviluppato di recente, confermandogli che sì, era vero, era controllato, e che l’avrei portato a farlo mettere sotto copertura.

Appena entrato al TSMREE ha capito, ma ha comunque accettato di parlare col medico e poi di farsi portare al pronto soccorso, su sua indicazione.

Quando è stato ricoverato quindi aveva già raggiunto una certa consapevolezza del suo malessere. Era, a buon diritto dal suo punto di vista, ingannato e deluso, profondamente in collera con me, ma era consapevole.

Ricordo che subito dopo averlo lasciato ho parlato col medico di turno, confidandogli che ho un rapporto difficile con gli psicofarmaci, perché quando ero adolescente avevo vissuto da molto vicino l’esperienza di Marco, mio coetaneo, che, ricevuta una diagnosi psichiatrica, era stato per troppo, troppo tempo inebetito dai farmaci. L’ho pregato di andare con cautela e lui me l’ha promesso. Ha cominciato con una dose minimale, che poi è stata alzata, e poi è stata alzata, e poi è stata alzata.

Il primo giorno, alla visita, Luca non ha voluto vedermi, era ancora molto arrabbiato con me, seppure tranquillissimo in reparto; al terzo, o quarto, sono stati i medici a telefonarmi per dirmi di non venire, perché era legato ed era meglio che non lo vedessi.

Mi hanno raccontato poi come è successo. Luca non voleva prendere più i farmaci, perché aveva disturbi intestinali, difficoltà motorie e rigidità, perdita dell’equilibrio. All’epoca faceva pugilato, essere agile aveva per lui estrema importanza. Hanno provato a forzarlo e lui ha reagito, forse ha tirato un pugno ad un medico. E quindi legato.

Ë durata poco quella volta, il giorno stesso hanno cominciato a slegargli prima un braccio, forse il giorno dopo era già libero, o meglio, domato e slegato.

Ripeto, non me l’hanno fatto vedere ed il racconto che me ne hanno fatto era quasi quello di una epopea romantica.

E quindi lì per lì ho assorbito il colpo… a distanza di tempo ci ho ripensato, ed ho riletto i fatti.

 

1.        In fin dei conti, Luca aveva chiesto la stessa cosa che avevo chiesto io: andateci piano con questi psicofarmaci. Entrambi siamo stati disattesi.

2.        Mia madre ha un tumore al seno. Per fortuna reagisce bene alla ‘pillola’. L’ha presa per qualche mese, e la massa regrediva. Peccato però che le procurava un dolore alle ossa che le impediva di dormire e di camminare. Ha chiesto aiuto all’oncologa, che le ha detto di non avere rimedi né alternative. Mia madre ha smesso di curarsi. Nessuno la lega per questo, eppure ha fatto una scelta che potrebbe accorciarle a vita.

3.        Un mese fa mi hanno chiamato dal San Pasquale, per fare uno studio epidemiologico sugli effetti del Risperidone sugli adolescenti. Perché sa, signora, l’utilizzo di questo farmaco nei minori è controverso. Suo figlio ha mai lamentato problemi intestinali, e bla bla bla bla? Si certo, ragazza mia, tutti, li ha avuti tutti, ed ha provato a dirvelo, e lo avete legato. Poi, poco dopo la dimissione, ha abbandonato tutto.

 

 Sorvolo veloce sui 3 anni successivi. Siamo andati per approssimazioni successive, sempre oscillando fra rifiuto ed adesione alla cura, e tentativi di autocura attraverso il lavoro. Luca ha imparato a capire quando le sensazioni che prova non sono aderenti alla realtà, e quando le sente pericolose mi chiede il ricovero.

A dicembre 2023 siamo al suo terzo ricovero. Anche stavolta passiamo quasi 24h in PS, in attesa, ma anche a questo ci siamo abituati, riusciamo a gestire l’attesa in mezzo ad altre centinaia di pazienti dolenti. Purtroppo il reparto del S.Crispino è in ristrutturazione, per cui ci prendiamo anche l’attraversamento della città in ambulanza per andare al S. Terenzio. Arriviamo che è stanco e provato, ma ancora regge. Intorno a noi l’ambiente cambia, si scende 2 piani sottoterra, le porte blindate. Ma che siamo al San Pasquale? Mi chiede spaventato. Non faccio in tempo a rispondere, che: signora lei qui non può entrare, e la porta si chiude alle sue spalle.

Aspetto fuori, ma inutilmente; dopo mezz’ora mi dicono che era troppo agitato e l’hanno dovuto sedare, non possiamo sapere come reagirebbe a vederla. Provi a passare domani.

L’indomani l’abbiamo trovato legato, non perché fosse agitato o rifiutasse nulla, ma perché era troppo sedato e la sua voglia di alzarsi faceva sì che potesse cadere. Per la sua sicurezza insomma.

Ma come, abbiamo passato quasi 24h insieme in mezzo alla folla di un PS, senza che nessuno si prendesse cura di noi e non ha avuto bisogno di nulla, si è fatto bastare una flebo di EN per affrontare la notte e quasi tutto il giorno seguente. 5 minuti da voi, e l’avete dovuto sedare come un cavallo.

Il primo giorno non sono riuscita ad ottenere sconti. Il secondo ho pregato che gli slegassero almeno un braccio, ma nulla. Il terzo ho mandato il padre, io non ce la facevo e poteva entrare solo 1 visitatore. Lo ha trovato disidratato, ed è riuscito ad imporsi. Il quarto ho potuto lavarlo un po’ sulla sedia a rotelle e con l’acqua fredda.

Era Natale. Gli infermieri si scambiavano i regali nella medicheria.

CHE IDEA MI SONO FATTA

1.che al San Pasquale abbiano utilizzato la contenzione quasi con pudore, sono convinta che fossero i primi a vergognarsene. L’hanno fatto forse perché schiavi della fretta, forse perché non sapevano come fare diversamente.

2. che cmq la visione biologista, organicista e paternalistica è d’ostacolo all’ascolto. Perché mai dovrei ascoltare il paziente, se tanto so già tutto io.

3. che al S.Terenzio invece abbiano usato la contenzione con arroganza, per evitarsi rogne durante le feste.

4. che chi usa la violenza, violenza subisce, ed infatti al S.Terenzio, e solo lì, ho visto un disclaimer sulla porta del reparto che prega di non usare violenza sugli operatori.

5. che Luca ha un rapporto malsano con gli psicofarmaci, che prevede il loro rifiuto o al contrario lo stordimento completo. Non concepisce il farmaco come cura, al giusto dosaggio. E penso che molto sia colpa della prima esperienza.

6.che l’ultima volta ho accompagnato Luca all’ospedale perché era tormentato da una voce cattiva a cui non voleva credere, e me lo sono portato via che era completamente dissociato dalla realtà. Del resto, CHI NON IMPAZZIREBBE IN QUELLE CONDIZIONI?

7. che Luca ha un potenziale enorme. Ed è stato la mia guida a metabolizzare questa esperienza. È venuto solo 3 volte al gruppo multifamiliare, stile Badaracco, che seguiamo, ed in quelle poche volte ci ha lasciato la sua chiave, paragonandosi a Joker, che sentendosi inascoltato e quindi non capito dal suo terapeuta, precipitava sempre più nella sua follia. E per questo deve mollare tutto e fare a modo suo.

8. che Luca aveva capito di stare nuovamente male una settimana abbondante prima del ricovero. Siamo andati subito al CSM, dove il suo medico l’ha visitato e gli ha dato una cura, e l’ha rivisto a 3 giorni…ma poi è andato in ferie, ed infine quando c’era più bisogno, il CSM era chiuso. Ed insomma, con più disponibilità di spazio e di tempo nei servizi territoriali, probabilmente in quell’ospedale non ci saremmo mai andati.

 

POST-SCRIPTUM

 

La storia è vera fin nei minimi dettagli, con la fiducia che possiamo prestare alla nostra memoria, ma i nomi di fantasia (ho faticato, ma credo di essere riuscita  a trovare dei nomi di santi che non siano già stati usati per qualche ospedale o clinica).

Mi sono convita a raccontarla, e ringrazio mio figlio per averne condiviso ogni parola con me ed avermi dato il permesso di parlarne, perché alcune persone a me molto vicine, intelligenti e sensibili al tema, sono rimaste affascinate dal libro di Milone, lo psichiatra che parla dell'arte di legare le persone.

Mentre quello cui ho assistito io, ben lungi dall’essere un atto artistico, non ha avuto alcun effetto curativo; piuttosto, quasi certamente dannoso.

Ne parlo quindi, per abbattere il muro della vergogna e del silenzio, ed evidenziare quanto poco sarebbe bastato perché non succedesse. Ne parlo, perché se tutta questa sofferenza non servirà a renderci un po' migliori, allora sì sarà stata completamente vana.  

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