
Gruppo di lavoro e tavolo tematico sulla contenzione (ambientale, fisica, chimica).
Domenica 2 marzo si è incontrato per la prima volta il gruppo di lavoro di Famiglie in Rete sulla contenzione ed abbiamo cominciato a discutere dei metodi e degli obiettivi.
Perché un gruppo di lavoro FIR sulla contenzione?
Mi verrebbe da dire piuttosto, perché no?
La voce dei familiari e degli utenti è in generale poco rappresentata nei tavoli di lavoro sulla salute mentale. Personalmente, ho portato la mia esperienza di contenzione all’assemblea nazionale autogestita della Salute Mentale, ed è stato l’unico contributo di un familiare, in un tavolo che è andato avanti per 3 ore.
Un anno fa chiesi alla psichiatra dell’SPDC cosa stessero facendo per aiutare mio figlio a superare il trauma della contenzione che aveva subito. Quasi mi rise in faccia, mentre paternalisticamente mi diceva di non preoccuparmi perché dalla sua esperienza gli utenti non ricordano nulla. Al che ho pensato che non dovevo denunciare una persona, ma sradicare una cultura.
Poi ho visto che mio figlio ha condiviso estremamente volentieri con me l’esercizio terapeutico del ricordo e del racconto.
Poi ho visto che il racconto stimola altre condivisioni, ed il dolore pian piano si scioglie e spurga.
Ed allora ho pensato, dopo aver raccontato qui la banalità della contenzione, di continuare nella similitudine e portare l’equivalente delle immagini e dei filmati al processo di Norimberga.
La buona notizia è che la Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani, dopo aver audito i maggiori esperti del settore sulla contenzione, ha dato apertura per ascoltare un familiare FIR.
Che cosa vorrei fare?
Fare una raccolta di racconti, di fatti e di esperienze, in forma anonima, dell’esperienza di utenti, o anche di familiari.
Organizzare tale raccolta con metodo scientifico, definendo un set di domande standard ed un metodo di raccolta delle interviste tale che i risultati siano in qualche modo analizzabili, per cercare trend, similitudini e differenze.
Fare un lavoro con un minimo di significato statistico, oltre che qualitativo, fra le varie regioni (forse questa è la cosa più difficile).
Uno dei partecipanti al gruppo mi ha chiesto se voglio fare un’antologia del dolore. Non l’avevo pensata così, ma penso che in parte sia vero, ed inevitabile. Spero però di raccogliere anche una antologia della speranza, costruita sulle idee di quello che invece utenti e familiari vorrebbero che fosse fatto e ritengono che sarebbe stato utile nel loro passato e certo sarà utile nel loro e nostro futuro.
Come possiamo farlo?
Certo il lavoro è tanto impegnativo quanto importante, motivo in più per non lasciarlo cadere, ma cercare tutta la collaborazione necessaria per strutturarlo bene e portarlo a compimento.
Ed ecco che la nostra prima azione sarà quella di cercare la collaborazione
- di esperti del settore, che ci aiutino a costruire le domande giuste ed il setting giusto in cui porle;
- di altre associazioni che condividano con noi metodi ed obiettivi, per allargare la platea di raccolta e dare più forza alla nostra voce;
-di esperti nella raccolta e strutturazione dei dati, per una scalabilità del lavoro.
Ringrazio quindi qui subito per il sostegno chi ha già abbracciato l’idea aggiungendosi al gruppo e rimaniamo aperti ad ogni idea e proposta di supporto.
Marina Pretto per Famiglie in Rete